Stiamo uscendo lentamente da un momento drammatico che ha colpito l’Italia ed il mondo come mai era successo nella storia degli ultimi decenni.
Nei due mesi passati i nostri pensieri ed i nostri sentimenti hanno subito un continuo turbinio guidato dalle notizie quotidiane e dalla reale percezione che tutto intorno a noi era cambiato, improvvisamente e sotto i dettami di un nemico invisibile. L’incertezza che abbiamo vissuto, la crescente paura rispetto ad un virus inizialmente forse sottovalutato, ha creato naturali sentimenti di ansia e vissuti persecutori. L’impatto che le limitazioni e restrizioni hanno avuto è chiaramente diverso per ognuno di noi. Per alcune persone il lockdown ha rappresentato uno stato di prigionia, per altre una dimensione dove riprendere i propri spazi ed i propri tempi. Per alcune famiglie ha rappresentato la dimensione del ritrovarsi ed il ri-conoscersi, per altre ha accentuato, a volte in maniera irreparabile, la dimensione conflittuale. In questa varietà di sentimenti uno però ha spiccato su tutti, inaspettato ed esplosivo, la solidarietà e l’unità nazionale, che nel trauma collettivo ci ha reso un’unica squadra unita per tifare chi stava “in trincea” e contrastare la malattia. A questo preposito non possiamo non menzionare i risvolti psicologici che l’avvento di questo virus sconosciuto ha portato sul personale in prima linea. Osservando le numerose dichiarazioni di medici ed infermieri impegnati in questa battaglia non emergono lamentele per le turnazioni o il carico lavorativo eccessivo ma la sofferenza emotiva rispetto ad un’impotenza che via via diventa quasi appresa davanti al numero di vittime, normalmente innaturali per qualsiasi unità operativa, ed alle condizioni in cui i pazienti concludono la propria vita.
L’impossibilità di permettere alle famiglie di sostenere il proprio caro negli ultimi momenti di vita ha lasciato a medici ed infermieri l’enorme carico emotivo del contenimento delle angosce di morte e di solitudine delle centinaia di pazienti assistiti.
Questi ritmi, per quantità e qualità del lavoro, espongono tutto il personale sanitario ad un rischio burn out altissimo che sicuramente andrà affrontato.
In questa fase transitoria dove piano piano si cerca il ritorno alla normalità la dimensione prevalente è quella conflittuale dove il grande desiderio di libertà si scontra con la paura di non sapere cosa accadrà e che la malattia possa nuovamente sorprenderci.
Ma la libertà, la progettualità, la vicinanza dei nostri cari e della rete amicale sono risorse fondamentali per ricostruire il nostro equilibrio emotivo ed è quindi importante, seguendo tutte le norme di sicurezza, continuare a coltivare i nostri progetti ed i nostri rapporti.
Il cambiamento per quanto doloro può rappresentare un momento evolutivo importante per la persona ed attivare risorse di resilienza fondamentali.
E’ chiaro che, laddove l’instabilità emotiva causata dall’evento non dovesse rientrare, è molto importante non trascurare i sintomi e risvolgersi ad uno specialista che ci possa guidare nell’elaborazione del trauma.
In questa fase, psicologi e psicoterapeuti hanno continuato e continuano a lavorare a distanza, con l’aiuto della tecnologia, per supportare i pazienti. La psicoterapia on-line, già presente ma esponenzialmente aumentata per far fronte all’emergenze, può anche per il futuro essere un’ottima alternativa alla classica psicoterapia ambulatoriale. Questa offre infatti un’opportunità ed una possibilità per le persone che per vari motivi non ne
usufruirebbero altrimenti. I servizi online hanno un enorme potenziale nell’aumentare l’accessibilità all’assistenza psicologica. Di essi ne potrebbero usufruire persone con mobilità limitata o restrizioni temporali di vario genere, chi per esempio per lavoro ha una limitata disponibilità oraria oppure è costretto a viaggiare o trasferirsi spesso. Chi vive in luoghi difficilmente raggiungibili, isolati e/o in cui vi è una ristretta scelta di servizi non sarebbe più costretto a rinunciare. Chi è fisicamente disabile e i loro stessi caregiver.
Infine spesso si ha paura di essere stigmatizzato in quanto fruitore di determinati servizi ma potrebbe provare meno vergogna nel chiedere aiuto in rete.